IL SERRAGLIO IMMAGINARIO
al Museo Civico Luigi Mallé
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Il Museo Luigi Mallé, come una novella Arca di Noè, accoglie e custodisce la temporanea sosta del serraglio ambulante creato dalla verve immaginifica del pittore savant Stefano Faravelli, tra i più straordinari assimilatori del fantastico visivo tra Occidente e Oriente che, per l’occasione, presenta il suo particolare omaggio al mondo animale in quasi cinquanta opere tra tele e carte di varie misure ed estensioni, in prossimità con la Giornata mondiale dedicata alla salvaguardia del mondo faunistico e delle specie a rischio (4 ottobre), evento riconosciuto universalmente fin dal 1931. Stefano Faravelli è notissimo in Italia e all’estero per quel suo inconfondibile ductus nel dare forma e spirito a creature e luoghi fantasiosi o in-verosimili che impreziosiscono i suoi cahier de voyage spesso rimbalzati dallo spazio minuscolo della pagina alle vaste scene dipinte e acquarellate. Echi di appassionate letture di enciclopedie degli animali e cronache di antichi serragli e menagerie. La parola serraglio compare attorno al 1400 e trae, probabilmente, la sua origine dall’espressione provenzale serralh che significa riparo, sbarramento. La locuzione menageria deriva invece dal francese antico ménage o mèsnage (dal latino mansionaticum), cioè ciò che concerne la casa e il governo della famiglia.
Pare proprio che sia stato un re, non uno qualunque, ma il Re Sole Luigi XIV ad aver formato a Versailles una prima “mènagerie pour les bêtes feroces”. Da allora, i due termini si diffondono in tutta Europa e designano tanto le raccolte di animali viventi destinati alla caccia o domestici, quanto quelle di animali selvatici indigeni ed esotici.
Gli animali, sia domestici che esotici, sono oracoli viventi per Stefano Faravelli che li interroga seduto sotto la volta di una foresta del Madagascar o tra il coltivato fogliame del giardino collinare di S. Vito. Che siano sorretti amorevolmente da una foglia secca che li protegge nella mimesis di apparire indistinguibili, seppure non sfuggano allo sguardo del pittore esploratore, o trattenuti tra le dita per uno studio ravvicinato, gli animali sono anzitutto immagini di concetti, illustrazioni di metafore. Succede però il tempo della posa che è quel tempo in cui la delicatezza dello sguardo - e l’attenzione infinita al mondo (Andrea Semplici dixit) - sa tramutarsi in una palpitante coesistenza di esseri - due esseri viventi che si studiano - per poi restituire su foglio la piccola increspatura, la texture di una livrea, persino la sbavatura di uno scatto impercettibile che è indizio di una vera e trattenuta fuga. “Il serraglio immaginario” è, dunque, una mostra all’interno della quale i visitatori possono seguire la genesi e l’esito di un certo archetipo figurativo dedicato all’essere animale. Accanto alle opere, per lo più adornate dalle elaborate cornici, il percorso è scandito da dipinti, carte acquarellate, scatole magiche con suggestive iconografie ingegneristiche e antiquarie, animali impagliati e personaggi immaginari, e da fotografie, disegni e taccuini.
IL CORTEO MERAVIGLIOSO
L’ultima volta, mesi fa, era estate, ho incontrato Stefano Faravelli a Matera. Un incontro attorno a un Carro Trionfale, anzi al Carro Trionfale... Prima di continuare, devo dirvi di lui. Mi faccio mostrare la sua vecchia carta d’identità e ci sta scritto: “artista”. Come mestiere. Ma Stefano non ama questa parola. Stefano dipinge, scrive, incolla, raccoglie piume, spala nuvole, fabbrica scatole magiche, manovelle, pendoli, burattini. Stefano viaggia, ma diventa un monaco quando, nel suo atelier torinese, dipinge con ostinazione. Stefano guarda. È un uomo che ha un’attenzione infinita al mondo. Conosce l’arabo e le culture dell’oriente. È alto, ha i capelli lunghi, il volto affilato, gira con giubbotti e pantaloni con molte tasche dove nasconde penne e taccuini. Sono io che sono distratto, seguo il racconto della sua biografia, lo osservo obliquamente e non mi accorgo che mi ha appena introdotto in una wunderkammer. Qualcuno mi ha spiegato che è ‘una stanza dei sogni prelibati’ e allora alzo gli occhi e rimango con il fiato sospeso. Mi sta passando davanti una parata grandiosa.A un centimetro dal mio naso, sfilano tigri, istrici, camaleonti, oche scodinzolanti, giraffe altissime, cammelli battriani, tori possenti, tartarughe, leprotti. Perfino un elefante. Trascinano carretti, trabiccoli, carriole, monopattini. Ognuno con il suo carico fantastico: cactus, locomotive, velieri, alberi di limoni, catini di fiori… la sfilata impiega ore a passarci davanti. Stefano applaude a ogni sua creatura. É un circo, questo. É un carnevale festoso. Ma dove stanno andando?
Appare, camuffato da mendicante, Francesco Petrarca (questa non me l’aspettavo) e mi passa un appunto scritto in fretta: “Trionfal carro a gran gloria conduce...”. Ecco, adesso mi è più chiaro: i carri viaggiano verso un paradiso. Stefano vuole confondermi le idee e, mentre seguo i movimenti lenti del cammello, si china verso di me per sussurrarmi nell’orecchio: ‘Vahana, veicoli degli dei…’. Insomma, uno dei padri della letteratura italiana (Petrarca nel frattempo ha preso un passaggio dalla giraffa) si è alleato con una storia scritta in sanscrito: gli animali sono gli autisti di Buddha e delle divinità indiane. Non mi importa più di capire, possono anche apparire unicorni ed ermellini, mi sto divertendo un sacco camminando a fianco di questa parata meravigliosa. Stefano schiocca le dita e tutto cambia. Gli animali girano su loro stessi, ora camminano in cerchio, danzano sulle zampe anteriori. Il corteo trionfale diventa circo. Viene gente a vedere, la piazza si riempie di una folla allegra e i carri slittano su due ruote. É il cammello a comandare i movimenti: con serietà, guida i suoi compagni fuori dal caos. Vedo gli animali allontanarsi. Osservo Stefano arrampicarsi sull’elefante ed estrarre i suoi fogli di carta ruvida. Comincia a disegnare. Da venti anni, questi animali non lasciano in pace i suoi acquarelli, riappaiono di continuo... E io ancora non vi ho detto del Carro Trionfale, della fabbrica di cartapesta dove ho incrociato Stefano agli inizi di luglio dello scorso anno. Entrambi eravamo venuti a Matera per vedere questo Carro, il vero protagonista della Festa Grande, la festa della Madonna della Bruna, protettrice della Città Antica. Stefano ha voluto salire su quel Carro. Con i suoi affreschi, per decorare la cartapesta con la quale è stato costruito. Mi ha dato una mano e ha fatto salire anche me. Il Carro ospitava già la Madonna e con lei abbiamo viaggiato per la città. Non dovevo scrivere tutto questo, non dovevo farlo sapere agli autisti degli dei, agli animali del circo Faravelli. Giraffe e camaleonti, ora, sgomitano, elefanti poco sportivi stanno malmenando le oche spaurite, i leprotti sono più rapidi di tutti, ma non hanno tenuto conto dell’agilità della tartaruga, più veloce di loro. Tutti quanti, adesso, vogliono tirare il Carro Trionfale della Bruna. Petrarca, Buddha e Stefano si godono la rissa seduti a un bar con una birra in mano.
Testo di Andrea Semplici pubblicato sulla rivista Erodoto in occasione della festa della Bruna a Matera nel 2019.